Ieri il P. Generale Arturo Sosa ha aperto l’Anno Ignaziano a Pamplona con una messa solenne. Questa è l’omelia che ha tenuto durante la messa.
“Il giorno in cui era attesa la batteria, si confessò con un suo compagno d’armi, e dopo che la batteria durava da un bel po’, una bombarda lo colpì alla gamba, fracassandogliela tutta.”
Questo è ciò che Ignazio di Loyola racconta a Roma quando gli viene chiesto di ricordare la sua vita. Queste righe si trovano all’inizio della sua Autobiografia, tralasciando di parlare dei trent’anni precedenti. La tradizione colloca questo evento il 20 maggio 1521, esattamente 500 anni fa. Cinquecento anni sono cinque secoli, tantissimo tempo. Ecco perché la nostra prima reazione a quest’anniversario è di stupore e di ringraziamento. Un’azione di grazie multipla: a Dio, che ha benedetto e accompagnato il cammino di questo “giovane adulto” Íñigo fino alla sua morte nel 1556. Ai gesuiti che ci hanno preceduto, trasmettendo dall’uno all’altro il carisma dell’Ordine fondato nel 1540. A tutti gli altri uomini e donne che sono stati testimoni e attori viventi della spiritualità ispirata da Ignazio di Loyola. Durante questi cinque secoli lo Spirito Santo è stato presente, dando la sua luce e la sua forza ai nostri predecessori. Tutto questo merita i nostri più sentiti ringraziamenti.
Iñigo sarebbe stato “un bestemmiatore, un persecutore e un insolente” prima di questo colpo di cannone, come abbiamo appena sentito da San Paolo? Anche se non in questi termini, sappiamo che viveva per se stesso e per quelle che lui chiama “le vanità del mondo”. Ma era, allo stesso tempo, un cristiano che andava a confessarsi prima di una battaglia di una certa importanza come l’assedio di Pamplona. Aveva un’esperienza della fede e delle pratiche religiose apprese fin da bambino. Tuttavia – per tornare a San Paolo – al momento giusto, Cristo Gesù, suo Signore, lo ha reso capace, gli ha dato fiducia e gli ha affidato un ministero, prendendolo al suo servizio. Inoltre, ha avuto compassione, e la grazia del Signore ha abbondato in lui insieme alla fede e all’amore che hanno il loro fondamento in Cristo Gesù. E sappiamo anche che – a modo suo – il Signore ha mostrato tutta la sua pazienza e il suo favore perché diventasse un modello per coloro che devono credere in Lui e avere la vita eterna, vale a dire nel santo Ignazio di Loyola.
Durante quest’Anno Ignaziano che inizia oggi – precisamente il 20 maggio, giorno in cui la Chiesa ricorda San Bernardino da Siena, il grande propagatore della devozione al nome di Gesù – avremo l’opportunità di risalire alle origini di questa conversione di Iñigo, sia a Loyola che a Manresa. Come San Paolo, egli riconosce di essere stato un peccatore, un peccatore salvato da Cristo. E ringrazia Dio per il suo cambiamento e la sua nuova vita. La novità – come per tutti i convertiti – è soprattutto Gesù Cristo. In altre parole: per Iñigo non è più lo stesso vivere senza Cristo o con Lui. Questa è la differenza tra il prima e il dopo. La novità del Signore è determinante, è quella che deciderà il suo futuro. Stare con Lui, conoscerlo, amarlo e seguirlo è ciò che gli fa capire che non è più lo stesso, e che questa novità vale la pena, che la sua vita è in gioco. Iñigo si lascia allora condurre da Dio, il che significherà che il giovane basco non vorrà più essere il protagonista del suo futuro, né cercare la propria gloria, ma lascerà parlare Dio, come farà mirabilmente scrivendo il libro degli Esercizi Spirituali, un manuale di incontro con Dio in cui il suo autore altruisticamente rimane in secondo piano.
La lettura del Deuteronomio ci aiuta a comprendere meglio questo cambiamento. Dopo la distruzione di Gerusalemme e l’esilio, Israele cerca di ricostruire la sua fede. Per questo si pente, si rivolge a Dio con tutto il suo cuore per ascoltare la sua parola, recupera la sua speranza in Lui. In questo modo emergerà dalle sue rovine, scegliendo la vita di fronte alla morte e il bene di fronte al male. È qualcosa di simile a quello che è successo a Iñigo dopo il colpo di cannone che gli rompe la gamba e distrugge la sua superficiale ricerca della felicità solo in se stesso, permettendogli di uscire rinnovato dopo il processo della sua conversione.
“Vedere nuove tutte le cose in Cristo” è il motto che abbiamo adottato per quest’Anno Ignaziano. Grazie alla novità che Gesù Cristo porta con la sua vita e il suo messaggio, tutto il resto ritrova il suo significato. Non è che la vita perda la sua durezza o la sua difficoltà – lo stiamo sperimentando in tutto il mondo con la pandemia – ma che troviamo un modo per affrontarla. E aiutare a vivere bene la vita è il senso di queste quattro sensibilità o modi che la Compagnia di Gesù propone ora come Preferenze Apostoliche Universali per permeare tutta la nostra azione evangelizzatrice. Così, tutte le cose devono servire a mostrare la via verso Dio, ma soprattutto i mezzi tanto cari a Ignazio, come gli Esercizi Spirituali e il discernimento. Combattere per la riconciliazione e la giustizia è un atteggiamento inseparabile dalla vicinanza e dall’amicizia con i poveri, come quella che aveva Ignazio. Stare al fianco dei giovani nel futuro che si sta aprendo per loro, che il Signore vuole che sia pieno di speranza. E, infine, prendersi cura di una creazione affinché possa mostrare i frutti dello stesso Spirito Santo che vi è presente dall’interno. Come ho detto, la novità di Cristo che portò Ignazio ad operare perché il Regno di Dio venisse agli uomini è la stessa che in quest’Anno Ignaziano speriamo guidi ciascuno di noi, gesuiti e amici, nella nostra missione nella Chiesa.
Anche il Salmo ci ha ricordato la bontà dei comandamenti del Signore: sono illuminanti, giusti, fanno riposare l’anima, allietano il cuore, sono più preziosi dell’oro e più dolci del miele. Sono parole fedeli, istruttive, vere, di vita eterna. Essi costituiscono il desiderio stesso di Dio per noi, ciò che chiamiamo la sua volontà. Qualcosa che il perseverante pellegrino di Loyola non si stancherà di cercare dopo la ferita di Pamplona, convinto che sia possibile trovarla, per continuare a cercarla ancora. Potremmo dire che per lui quest’esercizio è la conferma di essere vivo, camminando di inizio in inizio, ma ogni volta con maggiore libertà e audacia interiore.
Senza dubbio Ignazio avrebbe assimilato lungo la sua vita la frase entusiasta e generosa del discepolo di Gesù: “Ti seguirò ovunque vada”. Dal momento della sua conversione imparò che stare con il Signore e camminare al suo fianco era più importante della necessaria concretezza del luogo e delle circostanze in cui operare; il suo amore e la sua grazia gli bastavano. Perché l’autentica consolazione lo avrebbe sempre condotto ovunque avesse avuto bisogno di andare e rimanere in un dato momento, a Gerusalemme o a Roma, per esempio. Adattandogli il Vangelo, Ignazio non mise la mano all’aratro e non guardò indietro. Capì già dalla sua provvidenziale guarigione a Loyola che la sua sequela di Gesù avrebbe significato abbandonare molte delle sicurezze materiali, familiari o sociali di cui avrebbe potuto godere, per entrare pienamente nella “maniera di procedere” dello stesso Gesù. Con la povertà di spirito e talvolta materiale, ha voluto conformarsi a Gesù Cristo adottando le particolarità della sua vita, senza porre condizioni, come fanno gli altri due personaggi del Vangelo di oggi. Ha voluto che il suo annuncio del Regno fosse “in povertà”, consapevole della fragilità che la bomba di Pamplona gli ha rivelato, e che lo ha portato a mettere la sua fiducia in Dio.
Prima di continuare l’Eucaristia, non voglio perdere un’occasione che si verifica in pochi luoghi, e che ci permette di unire una devozione diffusa in tutta la Compagnia universale con la devozione alla patrona del luogo. Mi riferisco a Nostra Signora del Cammino a Pamplona e a Nostra Signora della Strada nella chiesa romana del Gesù, che contengono entrambe un’invocazione che è molto appropriata per oggi. Più che mai, dunque, chiediamo alla Madonna di accompagnare e benedire il nostro cammino durante l’Anno Ignaziano, proprio come volle fare con Iñigo, ferito a Pamplona esattamente cinquecento anni fa.