Durante questo Anno Ignaziano, pubblichiamo una serie di omelie che il P. Generale Kolvenbach ha tenuto nei giorni della festa di S. Ignazio. In questa prima omelia, P. Kolvenbach parla del voto di Montmartre del 15 agosto 1534 e del corpo di Cristo.
31 luglio 1984, Chiesa del Gesù, Roma
Il 30 luglio 1556 Ignazio di Loyola aveva espresso al suo segretario il P. Polanco il desiderio che si recasse in Vaticano per chiedere al Papa la sua benedizione. Sentiva di volgere rapidamente alla fine. Ma i medici che hanno in cura il Preposito Generale della Compagnia di Gesù non hanno dato particolare rilevanza alla sua malattia. Padre Polanco suggerisce di rimandare al giorno seguente la visita al Papa. Ma all’alba del giorno dopo, 31 luglio, un giorno molto caldo, i compagni trovano Ignazio agonizzante. Padre Palanco si reca subito in Vaticano per esaudire il suo ultimo desiderio. Il Santo muore nella piccola cameretta qui, presso l’attuale piazza del Gesù, tra le 6 e le 6.30 del mattino, presenti il Padre Madrid e il P. Frusio.
Era giunto al termine della sua strada, dopo essersi eroicamente sforzato “di avere dinanzi agli occhi, finché vivrà, prima d’ogni altra cosa, Iddio, e poi la forma di questo suo Istituto che è una via per arrivare a Lui, e di conseguire con tutte le forze tale fine propostogli da Dio” (Formula dell’Ist.).
Chiamato a succedergli nella guida della Compagnia di Gesù, desidero in questa mia prima Eucaristia concelebrata con tanti confratelli che rappresentano nella festa di S. Ignazio tutta la Compagnia sparsa nel mondo intero, meditare brevemente su una delle tappe principali di questa “via per arrivare a Lui” percorsa da Ignazio [e che i gesuiti, se vogliono essere fedeli al suo insegnamento e al suo spirito, devono percorrere come lui]. Perché proprio quest’anno, la Compagnia di Gesù commemora il quattrocentocinquantesimo anniversario del gesto compiuto da Ignazio e dai suoi primi compagni a Montmartre. Ignazio, insieme al savoiardo Pietro Favre, agli spagnoli Giacomo Laínez, Alfonso Salmerón, Nicola Alonso de Bobadilla, Francesco Saverio e al portoghese Simone Rodrigues, si recano il 15 agosto 1534 nella chiesetta di Montmartre e pronunciano il loro voto. Con una cerimonia piuttosto singolare, a cui la Compagnia è rimasta sempre fedele fino ai nostri giorni.
Simone Rodrigues così descrive la liturgia di Montmartre: “Il padre Fabro celebra la Messa. Prima di dare ai compagni il divino nutrimento, si voltò verso di loro, avendo in mano l’Ostia Santa. Essi, in ginocchio per terra, lo spirito in Dio, pronunciarono il loro voto, uno dopo l’altro, [dal loro posto] a chiara voce, in modo che tutti poterono sentire; poi ricevettero insieme l’Eucaristia. Il Padre si girò allora verso l’altare e, prima di assumere il pane vivificante, pronunciò il suo voto con voce chiara e distinta in modo che tutti poterono sentire”(FN III, 24-27. FN I, 20).
[Senza dubbio il loro voto comporta la scelta di uno stato di vita concreto: il sacerdozio; la scelta di un genere di vita concreto: “predicare in povertà”; e un programma apostolico concreto: “Gerusalemme”, ossia di recarsi in pellegrinaggio alla Città santa.] Nel caso che dopo un anno di attesa il pellegrinaggio si rendesse impossibile, promettono di presentarsi davanti al Papa e di mettersi a sua disposizione per essere inviati là dove il Santo Padre ritenesse più opportuno. Un misterioso reale legame congiunge il voto di Montmartre davanti al Corpo di Cristo, e non durante la liturgia della parola o al momento delle offerte, con il mistero pasquale dell’Eucaristia, il cibo di vita che è Cristo. Dopo un cammino di penitenza, di conversione, di profonde esperienze spirituali, i primi compagni “conquistati al servizio di Dio per mezzo degli Esercizi Spirituali”, non volevano trovare nei loro stessi desideri che il desiderio del Signore, che aveva detto: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22, 15).
La liturgia eucaristica di Montmartre va capita secondo il movimento stesso degli Esercizi Spirituali, che i primi compagni vivono grazie alla direzione di Maestro Ignazio. Quando al termine dell’elezione il compagno ha deciso di conformarsi interamente alla forma di vita che il Verbo di Dio ha scelto, il Maestro Ignazio lo invita a contemplare l’Eucaristia, per scoprirvi la passione del Signore, nel desiderio di divenire offerta vivente al Padre e ai fratelli; una passione eucaristica che è la legge della sua stessa vita, il movimento del dono e dell’abbandono di se stesso.
Dopo quattro secoli e mezzo, fedele allo spirito di Montmartre, l’ultima Congregazione Generale ha affermato: “La nostra vita, a esempio di quella d’Ignazio, è radicata nell’esperienza di Dio, che per mezzo di Gesù Cristo ci chiama, ci raccoglie in unità e ci invia in missione. L’Eucaristia è il luogo privilegiato in cui celebriamo questa realtà” (d.1, n.11).
Non c’è unione con Dio, non c’è comunione con gli uomini senza l’Eucaristia, che compie il mistero pasquale nella pesantezza della vita umana, finché Egli venga. La Compagnia sarebbe infedele a Montmartre e profondamente malata, se la fame eucaristica, se il desiderio pasquale non fosse più sentito nell’intimo di quella immensa attività che essa ancora svolge nel mondo.
Pronunciando il loro voto “davanti al Corpo di Cristo”, prima di riceverlo nella comunione, i sette compagni dicono chiaramente che non intendono chiedere che dei loro propri progetti, dei loro programmi apostolici determinati, siano benedetti e ratificati dal Signore. Si offrono semplicemente e totalmente al Cristo morto e risorto, per essere “messi con Lui”, il Figlio del Padre che l’ha inviato nel mondo. Con il loro gesto che impegna tutta la loro vita, essi chiedono quello che, tre anni dopo , alla Storta, avviene, quando Ignazio , “mentre faceva orazione, sentì nell’animo una profonda mutazione e vide tanto chiaramente che Dio Padre lo metteva con Cristo suo Figlio da non poter più in alcun modo dubitare che di fatto Dio Padre lo metteva col suo Figliolo” (Autobiografia, 96).
Volendo ricevere sul loro voto il Pane di vita, i compagni intendono chiedere e-impegnarsi che anche nelle loro migliori idee, progetti, iniziative, vi sia e continui ad esservi sempre abbastanza di apertura, affinché il Signore della vigna possa in ogni momento sconvolgere i loro piani e rimettere tutto in questione alla sua maggior gloria. Pur sinceramente desiderando di essere concretamente poveri e di esercitare gratuitamente il loro ministero apostolico, i primi compagni tengono conto delle esigenze concrete del loro apostolato, nelle quali si manifesta anche il desiderio del Signore. La Terra Santa, pur costituendo la priorità dei loro desideri apostolici, non esclude affatto “ogni altra missione tra i fedeli e gli infedeli” secondo che disporrà il Vicario di Cristo.
Fedele al voto di Montmartre, la recente Congregazione Generale ha affermato: “La nostra vita, a esempio di quella d’Ignazio, è radicata nell’esperienza di Dio, che per mezzo di. Gesù Cristo ci chiama, ci raccoglie in unità e ci invia in missione. L’Eucarestia è il luogo privilegiato in cui celebriamo questa realtà. Nella misura in cui è unito a Dio “per essere rettamente guidato dalla sua mano divina”, il gesuita è un “uomo inviato”. [Così, in tutte le cose, egli saprà trovare Dio presente in questo mondo, dove si combatte la lotta tra il bene e il male, fra la fede e l’incredulità, fra l’aspirazione alla giustizia e alla pace e le crescenti ingiustizie e divisioni”] (d. 1, 11). Nessuna radicalizzazione di una opzione apostolica, per quanto in sé valida; nessun irrigidimento né immobilismo; nessuna fuga dal guardare in faccia alla realtà, all’avvenire della Chiesa e dell’umanità; nessuna chiusura davanti al futuro, agli anni del duemila che ci attendono. L’impegno è estremamente esigente. Perciò, ,fedeli al voto di Montmartre, le ultime Congregazioni Generali hanno insistito sul discernimento apostolico per assicurare alla Chiesa del Signore il dinamismo apostolico della Compagnia e la sua apertura allo Spirito, affinché la Compagnia non si chiuda in ciò che è passato né si appaghi del presente, ma si inserisca nel mistero pasquale che va compiendosi continuamente nell’attesa di Colui che viene.
La fonte, la radice, il fondamento, lo stimolo dell’impegno del gesuita nella chiesa e nel mondo è questa consacrazione davanti al Corpo di Cristo, a Cristo Eucarestia che si dona al compagno che gli si dona.[Senza l’Eucarestia anche la più straordinaria attività del gesuita sarebbe vuota banalità, con l’Eucarestia anche la più umile vita di un gesuita può diventare amore eroico.] Il Diario spirituale di Ignazio ci fa toccare con mano l’esperienza eucaristica del Santo, la sua ascetica e mistica essenzialmente eucaristica, incentrata nel Sacrificio di Cristo. Le grandi grazie, le forti ispirazioni si verificano quasi sempre durante la celebrazione eucaristica o ad essa si rifanno. Il 23 febbraio 1544 scrive: “Durante la celebrazione noto vari sentimenti a conferma di quanto ho detto. E mentre tenevo il santissimo Sacramento tra le mani mi veniva da dire, sentendo una forte mozione interiore, che mai l’avrei lasciato per tutto il cielo, o il mondo, o ecc.; e provavo nuove mozioni, devozione, gioia spirituale. Aggiungevo che da parte mia avrei fatto tutto quello che dipendeva da me; [e quest’ultimo voleva tener presenti gli altri compagni che avevano sottoscritto. Durante la giornata, tutte le volte che fissavo la mente o mi si presentava il ricordo di Gesù, un certo sentire o vedere con l’intelletto, continua devozione e conferma”.]
Impegno totale davanti al Corpo e Sangue di Cristo, cibo e bevanda del gesuita, non può non essere fratellanza, koinonia: “condivisione di beni e di vita, che ha l’Eucarestia come centro: il sacrificio e sacramento del dono di Gesù, che amò i suoi fino alla fine” (cf. CG 32, d. 2, n. 18). Come i primi compagni che, rinunciando a ogni forma di individualismo, vogliono essere apostolicamente solidali, aperti gli uni alle ispirazioni degli altri, avendo gli Esercizi Spirituali quale luogo d’incontro, col carisma di Maestro Ignazio come guida e con l’Eucaristia come unica fonte della loro vita di “amici nel Signore”. “Ciascuno dei membri di ogni comunità di gesuiti e sempre memore di ciò che Sant’Ignazio dice dell’amore: che consiste nel rendere partecipi quelli che si amano di ciò che si ha e di ciò che si è” (CG 32, d.2, n.18; Es.Spir. 231), “con la preghiera, lo scambio fraterno, la celebrazione dell’Eucaristia” (CG 32, d.4, n.63) come a Montmartre.
E allora, anche povertà, senza compromessi, senza ipocrisie. “Predicare in povertà” come e con Cristo povero, umile e dolce, spogliatosi di tutto nell’Eucarestia, per essere per e di tutti, in piena libertà fedele al Padre. Ieri come oggi, la Compagnia, fedele a Montmartre, non deve scoraggiarsi o stancarsi di vivere, spesso dolorosamente, la tensione che le impone, nel nome del Vangelo, l’amore preferenziale ma non esclusivo dei poveri; la tensione che le impone, eucaristicamente, l’amore pasquale per lottare contro qualsiasi povertà, materiale e spirituale, affinché gli uomini non vivano di solo pane, ma del Pane della vita.
Il 31 luglio 1556 Ignazio muore, mentre il suo segretario si affretta a chiedere la benedizione di quel Vicario di Cristo al cui servizio, ancora una volta seguendo l’indicazione di Gesù, Ignazio ha posto se stesso e la Compagnia. Muore completamente abbandonato al Padre, diventato per la forza dello Spirito con l’opera come e con Cristo Vittima, Eucarestia·vivente per la salvezza del mondo.
Questa è la Compagnia di Gesù.
Questo è Ignazio.
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