I vescovi delle diocesi per cui passa il “Cammino Ignaziano”, da San Sebastián a Manresa, hanno scritto una Lettera Pastorale per vivere spiritualmente il V Centenario della ferita e della successiva conversione di sant’Ignazio di Loyola. Più informazione sul Cammino ignaziano: qui.
Come pastori delle arcidiocesi e delle diocesi per le quali passa il Cammino Ignaziano, vogliamo fare eco alla celebrazione che la Compagnia di Gesù sta portando avanti dal 20 maggio, data in cui è iniziato l’Anno Ignaziano, e che durerà fino al 31 luglio 2022. Il suo scopo non è altro che commemorare il 500° anniversario di un momento decisivo nella vita di sant’Ignazio di Loyola: la sua conversione durante la convalescenza e la guarigione dopo essere stato ferito a una gamba durante la difesa del castello di Pamplona, così come il suo pellegrinaggio e soggiorno a Manresa.
Quell’esperienza, che ha segnato un prima e un dopo nella sua vita, si rivelerà un evento che trascende i secoli e ci raggiunge con forza ispiratrice. Ricordare la conversione di sant’Ignazio può essere un’occasione per avvicinarsi a Dio che scrive dritto, anche se le linee si ribellano e a volte si attorcigliano. Lui sa come rendere tutto nuovo, anche la nostra vita.
Vogliamo incoraggiarvi, care comunità, a partecipare nel miglior modo possibile a quest’Anno Ignaziano e a goderne i frutti. Il santo considerava che la sua esperienza di fede non appartenesse esclusivamente a lui. Per questo scrive nella sua Autobiografia che “certe cose che osservava nella sua anima e che trovava utili […] potrebbero essere utili anche ad altri” (Au 99) nel loro cammino spirituale ed esistenziale.
Potremmo essere tentati di pensare che una tale storia ci sia estranea, che sia così lontana da noi che difficilmente può interessarci, attrarci, interpellare noi, i credenti di oggi, testimoni di un cambiamento d’epoca che sta portando profonde trasformazioni sociali, ideologiche e spirituali. Non è questo il caso. L’esperienza di Ignazio non ha scadenza, rimane e appartiene a tutti, poiché tocca la parte più intima e profonda della persona: “O fiamma di amore vivo, che ferisci teneramente la mia anima nel suo centro più profondo…” diceva il suo contemporaneo San Giovanni della Croce. È l’esperienza dell’incontro personale con Gesù Cristo, che ci riempie di vita, della sua vita, e ci fa contemplare la nostra esistenza con i suoi stessi occhi d’amore e ci fa sentire che siamo originariamente fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre.
La ferita alla gamba fece aprire gli occhi a Ignazio, perché potesse percepire un’altra ferita ancora più profonda; la ferita che il peccato ha generato nel cuore umano e che può essere cauterizzata solo dal fuoco dello Spirito Santo.
Per questo, cari fratelli e sorelle, vi proponiamo alcune considerazioni che ci aiuteranno a conoscere meglio l’esperienza che sant’Ignazio ha vissuto e che oggi abbiamo la possibilità di fare nostra.
La possibilità di cambiamento
La conversione di sant’Ignazio di Loyola, come egli stesso la esprime nella sua Autobiografia (Au 12), fu molto particolare. Prima della sua conversione, Íñigo de Loyola era un gentiluomo di corte all’inizio del XVI secolo, segnato dall’ambizione aristocratica e militare del suo tempo. Lui, come molti uomini e donne del nostro tempo, voleva essere famoso e riconosciuto. Quest’ambizione spiega perché rischiò la vita fino a quando fu gravemente ferito, il 20 maggio 1521, durante l’assedio di Pamplona da parte delle truppe francesi.
Trascorse la sua convalescenza nella casa di famiglia a Loyola (Azpeitia). La sua lenta guarigione sarebbe stata l’occasione di un’esperienza personale, fortemente religiosa, che avrebbe segnato il resto della sua vita. Íñigo, a quasi 30 anni, si sentì spinto a rifiutare la cultura egocentrica e meritocratica, che pensava solo ad accumulare meriti per salire la scala sociale, e che aveva imboccato fino ad allora. Cominciò a intravedere che Dio gli chiedeva di percorrere un nuovo cammino, lontano dalla vanità e dalla gloria effimera, un cammino legato a Colui che è la Via, la Verità e la Vita: Gesù di Nazareth. Sarà una ricerca lunga, rischiosa e complessa, la cui prima parte si concluderà con un intenso soggiorno a Manresa, che durerà fino al 1523. Davanti alla Vergine di Aránzazu fece il suo voto di castità e, alla grata dell’altare della Vergine di Montserrat, appese la sua spada e il suo pugnale, le credenziali scadute di una tappa superata. Da quel momento è solo un credente in pellegrinaggio verso Dio, un Dio che già abita in lui. Da quel momento in poi, si può dire che Íñigo cominciò ad essere sant’Ignazio.
Il santo iniziò il suo cammino di conversione, in parte grazie alla lettura. In particolare attraverso un libro, la Vita di Cristo, di Ludolph di Sassonia, che per caso arrivò nelle sue mani durante la sua convalescenza a Loyola. Fu nel momento più umanamente difficile della sua vita che, per la prima volta con piena consapevolezza, sant’Ignazio scoprì Cristo. Un Cristo che lo aiuterà a discernere il valore e il senso della sua vita e a scambiare la spada con la Parola, l’ardore della lotta con un amore intimo e fraterno, l’armatura con la forza della fede, il bagliore fugace della fama con la fiamma dell’amore vivo. Questa scoperta avviene contemporaneamente ad un’altra: quella della ferita del peccato nella sua storia personale e della grazia immeritata del perdono. La grazia di Cristo lo ispirerà e gli darà la forza di applicarsi a fondo per rispondere alla triplice domanda: “cosa ho fatto per Cristo, cosa sto facendo per Cristo, cosa devo fare per Cristo” (Es 53). Ignazio capirà che il passato, il presente e il futuro della nostra vita troveranno la loro pienezza solo in Cristo.
Loyola e Manresa hanno segnato la vita di Ignazio e anche quella di molti altri uomini e donne. Sant’Ignazio ha imparato a credere e a discernere attraverso quest’esperienza di conversione. Loyola e Manresa rimangono ancora come fari che non hanno mai perso la loro luce. Essi rappresentavano il “principio e il fondamento” (Es 23) di ogni percorso successivo.
In un certo senso, il cammino della fede è nascere e rinascere a Dio continuamente in conversioni successive. Questo è il modo in cui lo sperimentiamo di solito. Non c’è un solo momento, ma sono tanti i momenti in cui, mediante l’opera della continua novità che Dio ci dona, riscopriamo il significato della nostra identità e missione cristiana. Identità e missione non sono mai estranee, ma sempre attente al momento storico concreto in cui ci è dato vivere. Queste circostanze personali e sociali sono il campo a cui dobbiamo dedicarci, discernendo alla luce del Vangelo la risposta adeguata alle persone, ai fatti, alle circostanze, alle sfumature e alla situazione.
La conversione di sant’Ignazio ci ricorda che Dio vuole invitarci a conversioni diverse, sorprendenti e imprevedibili. Lo ha fatto fino ad ora e continuerà a farlo. Dio appare come il sole ogni mattina per rivelarci il suo amore sempre nuovo, come la vita. Come possiamo rifiutare un tale amore?
La possibilità del nostro cambiamento
Quel cambiamento non è una trasformazione qualsiasi, per quanto buona e utile possa essere. Riconosciamo che l’umanità è progredita in molte aree e continuerà a farlo, ma la nostra cultura ci induce a supporre che siano possibili solo i cambiamenti guidati e pilotati dall’attività umana. Ci stiamo gradualmente convincendo che ciò che ci porta a un futuro migliore dipenda solo da noi. L’odierna tecnologia, inimmaginabile per le generazioni passate, crea l’illusione che nessun progetto sia più irrealizzabile. Partecipiamo all’opinione diffusa che cambieremo il mondo non solo parzialmente, ma totalmente, purché ci dotiamo dei mezzi adeguati. Dimentichiamo la prima parte del vecchio detto popolare: “Aiutati, che il ciel t’aiuta”.
In fondo pensiamo che ottimizzando l’esterno, saremo in grado di apportare un miglioramento sostanziale alle cose. Abbiamo difficoltà a riconoscere che cambiare il mondo coinvolge anche noi stessi, che se vogliamo migliorarlo, dobbiamo migliorare noi stessi con lui. Già Papa Francesco ci mette in guardia dalla tentazione del paradigma tecnocratico quando afferma: “il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nel modo in cui le persone le utilizzano” (FT 166). Ignazio di Loyola ci insegna ad usare l’intelligenza, la forza e la costanza per andare, come Gesù, per il mondo, facendo del bene.
Sant’Ignazio, come tante altre figure della Chiesa, ha sperimentato che la sua conversione lo stava portando verso una trasformazione personale aperta ad un orizzonte imprevedibile. Le sue parole esprimono bene questo sentimento: “Quale nuova vita è questa che stiamo iniziando ora?” (Au 21). Ricordando il suo periodo a Manresa, il santo confessa che, in quel periodo, “Dio lo trattava come un maestro di scuola tratta un bambino, insegnandogli” (Au 27). Si rese conto che era Dio, e non lui, a guidare veramente i passi avanti; e che era lui, Íñigo de Loyola, e non solo il suo ambiente, a doverli fare. Il cambiamento sociale verso una società più umana, fraterna e solidale è possibile solo con la conversione del cuore; una conversione che, se lo permettiamo, Dio può operare in ognuno di noi. Solo permettendo a Lui di operare in noi, il nostro impegno verso i poveri, i malati, gli alienati, gli emarginati e i più svantaggiati sarà efficace.
Questo processo di conversione interiore non è comodo; richiede sacrificio, implica che non rimaniamo concentrati esclusivamente su noi stessi. Ma siamo riluttanti a lasciare l’area di nostro interesse e in cui ci troviamo a nostro agio per avvicinarci all’altro in modo gratuito. La vita quotidiana conferma che molti conflitti si risolvono nella misura in cui smettiamo di pretendere di essere il centro di tutto e ci rivolgiamo agli altri e al Signore. Il senso dell’esistenza umana diventa più chiaro quando entriamo in un esodo, in cui lasciamo l’orbita del nostro egoismo e andiamo verso un incontro personale con il Dio della gratuità. Il principio con cui sant’Ignazio ha cercato di riassumere la qualità di ogni processo spirituale è ben noto: “Ciascuno pensi di trarre profitto in tutte le cose spirituali quanto più può dal proprio amore, volontà e interesse” (Es 189).
L’esperienza ignaziana sottolinea ciò che è caratteristico di ogni conversione cristiana: una trasformazione che si dispiega dall’interno, dal più profondo, che ci colpisce integralmente, che ci coinvolge profondamente e per sempre. Solo da questa trasformazione interiore in Cristo possiamo essere sale della terra e luce del mondo, un mondo che ha fame e sete di giustizia, fraternità, trascendenza e speranza. Nel nostro tempo la “sindrome dell’immanentismo” sembra soffocare il senso della trascendenza e, nello stile e nella vita di sant’Ignazio, dobbiamo proporre e incoraggiare che Dio sia riconosciuto e glorificato. L’umanesimo autentico è sostenuto da Dio, nella misura in cui senza di Lui si autodistrugge.
Sia l’amore del Padre che la complessità del nostro tempo esigono che siamo co-protagonisti della profonda trasformazione di cui il nostro mondo ha bisogno per arrivare a un lieto fine per tutti.
La possibilità del nostro cambiamento in Cristo
La trasformazione che sant’Ignazio ha subito a seguito della sua conversione è, in realtà, una progressiva conformazione a e in Cristo. Quando il santo enumera i doni che i suoi mesi a Loyola e Manresa gli hanno lasciato, sottolinea: “Vide con i suoi occhi interiori l’umanità di Cristo” (Au 29).
Gesù non è uno slogan, né un’ideologia, né un programma astratto. Gesù è una Persona che ci propone una relazione che può trasformare radicalmente la nostra esistenza e la nostra condizione. Sant’Ignazio partecipa a questa trasformazione interiore che nasce dalla relazione con Cristo e che a poco a poco lo rende simile al Signore. Per questo, chiederà a coloro che osano fare gli Esercizi Spirituali di essere pronti a riconfigurare i loro sentimenti fondamentali, in modo che la loro gioia diventi “gioia con il Cristo gioioso” e la loro tristezza, “dolore, lacrime e tormento con il Cristo tormentato” (Es 48). Non possiamo dimenticare che Gesù assume la sofferenza degli esseri umani come propria, fino al punto di dare la sua vita perché noi possiamo avere la vita in abbondanza.
Un sant’Ignazio già avvezzo all’esperienza spirituale, e non novizio come nei suoi primi passi di conversione, affermerà che Cristo è colui che ci invita a superare il rapimento commesso nella storia dal “nemico mortale della nostra natura umana” (Es 136), per introdurci alla “vera vita” (Es 139). Il nostro Dio si manifesta dove non ce lo aspettiamo: un “luogo umile, bello e grazioso” (Es 144). Quello è il luogo d’incontro di coloro che egli convoca e considera come “amici” (Es 146).
Cristo è la luce e lo sguardo limpido, è colui che vede e che ci aiuta a vedere le cose e le persone nella loro realtà più pura e autentica. Lui guarda con amore e solo l’amore vede e ci aiuta a vedere con trasparenza. E ci manda ad essere, come Lui, luce nel mondo, un mondo che è la casa di tutti, la nostra casa. Come ci ha ricordato la Laudato Si’, “l’essere umano, dotato di intelligenza e di amore, e attratto dalla pienezza di Cristo, è chiamato a ricondurre tutte le creature al loro Creatore” (LS 83). Questo è ciò che Ignazio ha fatto della sua vita.
La Compagnia di Gesù ha scelto come motto per quest’Anno Ignaziano “vedere nuove tutte le cose in Cristo”. Questo è ciò che sant’Ignazio ha espresso evocando la propria trasformazione: che “tutte le cose gli sembravano nuove” (Au 30). E lo erano. Lo sguardo di Cristo ricrea e rinnova tutte le cose. Il suo amore ci fa vedere l’amore e dare amore in tutto e a tutto ciò che esiste. Cristo è colui che va in pellegrinaggio con lui per tutta la sua vita e al quale chiederà costantemente la “conoscenza interiore” (Es 104) del suo mistero personale di vita, morte e risurrezione.
Conclusione
Dio ci guarda con amore di Padre, non smette mai di guardarci, cammina con noi a ogni passo della nostra vita; non facciamo un passo senza che Lui lo faccia con noi. E non si stanca di aspettare, non si spazientisce. Egli desidera sempre la nostra crescita. Conta sempre sul fatto che il cambiamento in meglio è possibile in noi in ogni momento della vita.
Come sant’Ignazio, permettiamo a Cristo di entrare nella nostra vita, di crescere in essa e di trasformarci. Perché ci aiuti a trasformare il mondo in quella casa comune che il Padre vuole; quel focolare domestico che accoglie tutti e che ha il pane, una tavola e una chiara parola di speranza per tutti. Questo è l’invito con cui Gesù Cristo inizia la sua predicazione: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Pentitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Ma, dopo la conversione, viene l’invio. Mentre ci saluta, ci manda per la nostra strada, per condividere la Buona Novella con tutti: “Andate e predicate il vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15).
In quest’Anno Ignaziano, recuperiamo la nostra condizione di pellegrini. Per sottolineare questa dimensione di sant’Ignazio pellegrino, abbiamo predisposto un ANNO GIUBILARE DELLA COMMEMORAZIONE da celebrarsi nel 2022 lungo il Cammino Ignaziano, inteso come esperienza continua degli Esercizi Spirituali, che si svolgerà dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022.
Credere è andare in pellegrinaggio, partendo da ciò che accade intorno a noi, da ciò che chiede di cambiare; passando anche e principalmente attraverso le trasformazioni interiori della nostra persona, per essere ogni giorno un po’ di più quel riflesso fedele di Cristo che riempie di speranza il mondo che abitiamo e lo apre alla speranza della Vita eterna. Credere è condividere ciò che crediamo, viviamo e celebriamo: l’amore di un Dio Padre che ci ha fatto suoi figli in Gesù, nostro fratello. E questo esige che viviamo e cresciamo con amore ogni giorno, in questa grande famiglia universale.
Forse per questo sant’Ignazio aveva una devozione speciale per la Madonna della Strada, la Vergine del Buon Cammino. La Madonna era presente all’alba della sua conversione a Loyola e a Montserrat, sussurrandogli all’orecchio ciò che canta il salmista: “Affida la tua via al Signore, confida in Lui, perché Egli agirà” (Sal 36,5).
Alla sua intercessione affidiamo anche i nostri passi sulle orme di suo Figlio in quest’Anno Ignaziano.
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Francisco Pérez González, Arcivescovo di Pamplona e Vescovo di Tudela
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Agustín Cortés Soriano, Vescovo di Sant Feliú de Llobregat–
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Salvador Giménez Valls, Vescovo di Lleida
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Xavier Novell Gomà, Vescovo di Solsona
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Ángel Pérez Pueyo, Vescovo di Barbastro-Monzón
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Sergi Gordo Rodríguez, Vescovo ausiliario di Barcellona
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Javier Vilanova Pellisa, Vescovo ausiliario di Barcellona
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Juan Antonio Aznarez Cobo, Vescovo ausiliario di Pamplona e Tudela
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Juan José Omella, Arcivescovo di Barcellona
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Carlos Manuel Escribano Subías, Arcivescovo di Saragozza
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Romà Casanova Casanova, Vescovo di Vic
Ecc.mo e Rev.mo Mons. José Ignacio Munilla Aguirre, Vescovo di San Sebastián
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Eusebio Hernández Sola, Vescovo della Diocesi di Tarazona
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Juan Carlos Elizalde Espinal, Vescovo di Vitoria-Gasteiz
Ecc.mo e Rev.mo Mons. Antoni Vadell i Ferrer, Vescovo ausiliario di Barcellona
Don Vicente Robredo García, Amministratore della Diocesis di Calahorra e della Calzada-Logroño