Durante questo Anno Ignaziano, pubblichiamo una serie di omelie che il P. Generale Kolvenbach ha tenuto nei giorni della festa di S. Ignazio. In questa prima omelia, P. Kolvenbach parla della missione con il Figlio.
Chiesa del Gesù, Roma, 31 luglio 2001
Nel celebrare con voi per la prima volta in questo nuovo millennio la festa di Sant’Ignazio, risuona ai nostri orecchi ciò che Giovanni Paolo II non cessa di chiederci: ripartire da Cristo e «duc in altum»«che traduce il desiderio del Cristo di vedere i suoi discepoli, stanchi e scoraggiati, portare la barca dove l’acqua è profonda e incerta e calarvi le reti per la pesca (cfr. Lc 5,4). Ci basta guardare la statua di Sant’Ignazio in questa Chiesa del Gesù: non è il pellegrino penitente, non è il maestro della vita consacrata, è un uomo di Chiesa, un ministro della vera sposa di Cristo nostro Signore (Es. Spir., 353), che in nome di questo Signore invia in missione, al largo, per accendere il fuoco che Cristo è venuto a portare sulla terra (cfr. Lc 12,49). Ignazio sapeva che per compiere questa missione occorreva seguire Gesù, partire e ripartire da Lui per annunciare qui e ora la buona notizia della salvezza.
Il vangelo di questa sera illumina un momento importante di questa sequela di Cristo. Ecco due discepoli che vogliono andare con Gesù al largo. Il primo crede di aver trovato in Gesù e nella sua Chiesa una casa sicura e una famiglia solida, una vita forse non confortevole, ma almeno duratura, un cammino non sempre comodo ma almeno tranquillo. Ma con Gesù bisogna sempre partire e ripartire; non si trova sicurezza e stabilità al suo seguito perché il Figlio dell’uomo, Gesù, non ha un luogo dove potersi coricare per riposare. Seguire l’Agnello ovunque vada è sperimentare che i nostri pensieri non sono sempre i pensieri di Gesù e che egli ci conduce come il suo apostolo Pietro dove noi non vogliamo andare. Per ripartire da Cristo Ignazio ci fa spesso chiedere la grazia di non essere sordi alla sua chiamata, ma pronti e diligenti nell’adempiere la sua santissima volontà (Es. Spir., 91).
Il secondo discepolo vuole ripartire da Cristo, ma solamente dopo la sepoltura di suo padre, una cerimonia che in una famiglia orientale può esigere tempo e fatica. Gesù reagisce a questa domanda comprensibile con una risposta radicale: seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti. Parola strana perché sono i vivi che s’incaricano dei funerali. Tuttavia chi non vede al di là di una sepoltura, chi non crede che anche nella morte Gesù è la vita, rimane come un morto che senza speranza, senza fede seppellisce un morto. Gesù aspetta da quelli che vogliono ripartire da Lui un’apertura larga su tutta l’esistenza umana nella loro vita e nella loro morte.
Così il vangelo ci presenta questi due discepoli tutti desiderosi di ripartire da Cristo e di seguirlo al largo nella sua missione, ma Gesù deve ricordare loro che l’entusiasmo di seguirlo ovunque vada implica sempre una rinuncia. Sant’Ignazio ha bene compreso l’insegnamento di Gesù quando riassume in questo modo le parole di Gesù: «Ciascuno deve pensare che tanto progredirà nella vita spirituale, quanto si libererà dell’amore di sé, della propria volontà e del proprio interesse» (Es. Spir., 189). Qui Ignazio non parla a un’élite spirituale, ma a ciascuno e a ciascuna che vuole ripartire da Cristo, ben cosciente che questa sequela del Signore per andare al largo implica scelte concrete per emendare e riformare la propria vita e la propria maniera di vivere nella propria famiglia e nella propria professione, nelle gioie e nelle pene della propria vocazione laica, religiosa o sacerdotale.
Per andare al largo si deve rinunciare… Senza dubbio saremo sempre tentati di dire come i pescatori del lago di Galilea: Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla. Ma l’apostolo, secondo Sant’Ignazio, è precisamente quest’uomo della notte che non si accontenta di attendere l’alba di un nuovo mondo, ma che, alla luce della fede, risponde alla chiamata del Signore e semplicemente lascia dietro a sé la costa con la sua sicurezza e le sue garanzie per andare al largo, verso l’ignoto a noi, ma noto a Dio, dicendo: sulla tua parola, getterò le reti.
«Duc in altum»: prendete coraggiosamente il largo con le vele spiegate al soffio dello Spirito. Come il Padre ha inviato Gesù, il Signore invia i suoi discepoli in missione. Sant’Ignazio ha introdotto la missione, non come una ditta missionaria, non come un’impresa evangelizzatrice, ma come una familiarità, un «essere con» Gesù in missione. come compagni e servitori della missione del Cristo. Sant’Ignazio insisteva sull’invito ad associarsi al compito missionario non con un contratto di lavoro, ma con un sì personale e gratuito alla persona di Gesù. Il «duc in altum» parte e riparte da Cristo, perché è lui che ci invia in missione presso gli uomini e le donne del nostro tempo per aiutarli – ripeteva Sant’Ignazio -·a incontrare personalmente Colui che è amorosamente all’inizio e alla fine di ogni vita. In questa festa di Sant’Ignazio chiediamo che questa partecipazione al corpo e al sangue di Cristo confermi in noi la missione di prendere il largo, sempre partendo da Cristo, affinché nulla separi il nostro compito, la nostra responsabilità missionaria dallo Spirito di Gesù.
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